Il covid blocca anche le “sanzioni”

Cosa fare se un’impresa non rispetta le scadenze fiscali, sia quelle originarie che quelle rinviate dal Governo.

In via generale, è ormai noto che le violazioni si possono sanare con il ravvedimento, pagando in misura “ridotta” la sanzione.

Cosa accade, però, se l’imprenditore non possiede le disponibilità finanziarie per ravvedersi? Le misure afflittive (penali e amministrative) sono sempre applicabili?

È il caso del negoziante che non riesce a versare le imposte sui redditi, l’Iva o le ritenute sui dipendenti, oppure non paga il piano di rateazione di una cartella di pagamento o di un accordo di adesione con il Fisco. In queste fattispecie, il contribuente deve temere di essere sanzionato, e in alcuni casi eccezionali addirittura di incorrere in una denuncia per la commissione di un reato tributario (es. omesso versamento Iva per € 250.000, ritenute per € 150.000, ecc.).

Ci sono buone notizie, perché l’inadempimento può essere “scusato”, e quindi non rimproverato; ciò accade, ad esempio, quando la crisi di liquidità è involontaria e non deriva dalle scelte dell’impresa.

Si tratta, in altre parole, di stabilire se le attività economiche chiuse o fortemente limitate a causa dell’emergenza covid saranno comunque sanzionate per il mancato pagamento dei tributi e dei contributi previdenziali. Per ogni soggetto inadempiente, la soluzione impone di esaminare i rapporti tra “forza maggiore” e crisi di liquidità derivante dall’attuale scenario emergenziale, e quindi di verificare se la “pandemia” costituisce evento imprevedibile e inevitabile non fronteggiabile da costui. 

Come è noto, la “forza maggiore”, per scriminare un inadempimento e non far scattare conseguenze risarcitorie e sanzionatorie, deve sostanziarsi in un evento non imputabile al debitore, le cui conseguenze non si potevano evitare adottando le normali precauzioni. 

Sulla scusabilità della descritta infrazione, i Giudici unionali e nazionali richiedono la sussistenza di due elementi: uno “oggettivo”, consistente nelle circostanze anormali ed estranee al contribuente; l’altro “soggettivo”, rappresentato dall’obbligo del contribuente di premunirsi con misure appropriate contro le conseguenze dell’evento imprevedibile. Inoltre, è stata esclusa la “forza maggiore” in caso di temporanea crisi di liquidità, oppure in presenza di sfavorevole congiuntura economica, quali evenienze incluse nel normale “rischio” d’impresa. Sull’argomento tornano utili due recenti norme giuridiche (art. 3, co. 6-bis del DL n. 6/2020, art. 91 del DL n. 18/2020) introdotte dal Governo per affermare che il rispetto delle misure di contenimento dell’emergenza è circostanza valutata dal Giudice ai fini dell’esclusione della responsabilità del debitore, e quindi per applicare “penali” e “decadenze” derivanti dai tardivi o omessi adempimenti. Trattasi di disposizioni che confermano la possibilità di interpretare la situazione emergenziale come causa di “forza maggiore” giustificante, a certe condizioni, l’inadempimento (anche) tributario. 

Ciò chiarito, la pandemia può ritenersi impeditiva rispetto all’irrogazione delle sanzioni amministrative (e talvolta anche penali) previste per gli omessi/tardivi versamenti. In altre parole, la particolare emergenza configura una situazione capace di produrre quell’evento imprevedibile e inevitabile che non lascia “margine di scelta” agli operatori economici. Tant’è vero che l’attuale crisi non sembra fronteggiabile dalle imprese con le normali misure prudenziali (es. accantonamenti, finanziamenti bancari, prestiti dei soci, ecc.), considerata anche la prolungata caduta della domanda per la maggior parte dei beni e servizi di consumo. Per cui, lo scenario emergenziale, pur incidendo negativamente sull’adempimento degli obblighi tributari e previdenziali, può impedire la sanzionabilità dei contribuenti.

Ne deriva che dinanzi alla contestazione delle sanzioni (amministrative e penali) in materia di riscossione, l’impresa può chiedere di non essere punita, individuando nella “forza maggiore” la causa del mancato versamento delle imposte e dei contributi. A tal fine, l’operatore deve allegare i fatti comprovanti la perdita involontaria delle risorse economiche occorrenti per onorare le scadenze pubbliche, e quindi per dimostrare che l’inadempimento non è frutto di una “sua scelta”. 

Esempio: un ristoratore, moroso nei pagamenti, ha la chance di non subire aggravi economici se dimostra che l’attività rientra tra quelle sospese dal Governo, oppure che i provvedimenti emergenziali hanno inciso negativamente sulla somministrazione di alimenti e bevande, nel senso di azzerare o ridurre gli incassi in modo consistente e durevole. 

In conclusione, per ogni impresa inadempiente occorrerà valutare “caso per caso” l’esistenza di validi elementi dimostranti l’involontarietà dell’inadempimento, quale evento generato dalla descritta causa di “forza maggiore”, e quindi che l’infrazione è scusabile.

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