Cancellazione di una società

La cancellazione di una società di capitali durante una “verifica fiscale” non è penalmente rilevante ai sensi dell’art. 11 del D.Lgs. n. 74/2000.

A cura dell’Avv. Roberto Simoni

La cancellazione delle società di capitali dal registro delle imprese può penalizzare i creditori sociali in ordine alla “sorte” dei debiti aziendali “insoddisfatti”, sia sottoforma di passività esistenti che sopravvenute all’estinzione.

Anche l’Erario è esposto a questo rischio.

Lo scenario concreto può essere così sintetizzato: negli ultimi momenti di vita della società (debitrice del Fisco) i soci incassano dividendi o ricevono beni (sociali) anche se l’amministratore (o il liquidatore) non ha soddisfatto i debiti tributari; la società potrebbe ravvisare nella cancellazione un “espediente” per sottrarsi agli adempimenti fiscali e per ostacolare i controlli tributari, addirittura perfezionando il procedimento di estinzione nel corso di una verifica fiscale.

In queste situazioni possono sorgere svariate responsabilità (civili, tributarie e penali) a carico della società, dei soci e dell’organo rappresentativo.

Limitandoci ai riflessi penali, occorre chiarire se la “cancellazione” è “atto fraudolento” ai fini della consumazione del reato di cui all’art. 11 del D.Lgs. n. 74/2000, il quale al comma 1 dispone che: “è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte di ammontare complessivo superiore ad euro cinquantamila, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva. Se l’ammontare delle imposte, sanzioni ed interessi è superiore ad  euro duecentomila si applica la reclusione da un anno a sei anni”.

Questa fattispecie delittuosa rappresenta una tutela “speciale” dei crediti tributari che si affianca ai molteplici strumenti “ordinari” concessi a tutti i creditori per reagire alle azioni depauperative dei debitori, tra i quali: revocatoria “ordinaria” (art. 2901 c.c.) e “fallimentare” (art. 67 L.F.), espropriazione di beni oggetto di vincoli di indisponibilità o di alienazioni a titolo gratuito (art. 2929-bis c.c.), impugnazione della “rinuncia” all’eredità (art. 524 c.c.), mancata esecuzione dolosa di un provvedimento giudiziario (art. 388 c.p.), insolvenza fraudolenta (art. 641 c.p.), cancellazione della società dal registro delle imprese (art. 2495, co. 2 c.c.).

L’art. 11 del D.Lgs. n. 74/2000 ha introdotto un reato di “pericolo concreto” nel quale l’idoneità ingannatoria della condotta va valutata “ex ante” col giudizio di “prognosi postuma”. 

La norma prevede due condotte “tipiche”, di tipo “commissivo”, consistenti nell’alienare simulatamente e compiere altri atti “fraudolenti” sui propri o sugli altrui beni. 

La locuzione atto “fraudolento”, caratterizzante la condotta sotto il profilo oggettivo, allude a qualsiasi “stratagemma” finalizzato a sottrarre (in tutto o in parte) all’Erario la garanzia patrimoniale del contribuente. Ulteriori indicazioni possono trarsi dalla definizione di “mezzo fraudolento” contenuta nell’art. 1, lett. G-ter del D.Lgs. n. 74/2000, quale condotta artificiosa che determina una falsa rappresentazione della realtà. Tuttavia, è di diverso avviso la Corte di Cassazione (ordinanza n. 3011/2017), che ritiene la definizione “generale” prevista dall’art. 1 incapace di descrivere il fatto tipico in esame.

Tanto premesso, il Tribunale di Pistoia (sentenza n. 512/2016, passata in “giudicato”) ha ritenuto non sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 11 la seguente condotta:

“TIZIO quale amministratore e liquidatore della società ALFA S.r.l. in liquidazione, CAIO, SEMPRONIA e MEVIO quali soci ed amministratori di fatto della medesima società, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi e sul valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte, di ammontare complessivo superiore a euro cinquantamila (come dappresso indicato in dettaglio, superando altresì l’importo di € 200.000, risultando integrata la relativa aggravante ex a. 11, co. 2 d.lgs. n. 74/00), compivano atti fraudolenti sui propri beni (cessando l’attività in data xx.7.2012, ovverosia dopo l’apertura dei controlli fiscali svolti dalla Guardia di Finanza ed iniziati dal xx.6.2012), idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva, oltre che ad ostacolare l’attività accertatrice dell’Agenzia delle Entrate, che da ultimo conduceva all’emissione dei seguenti avvisi di accertamento…con cui era contestata un’evasione dell’I.R.E.S., dell’I.R.A.P., dell’I.V.A. ed irrogate sanzioni amministrative, per gli anni 2008/2009/2010. In data xx.7.2012”.

Nel caso concreto, il Giudice ha “assolto” (con formula piena) tutti gli imputati (amministratori, liquidatori e soci) enunciando il seguente convincimento:

“L’atto fraudolento contestato è l’avvenuta cancellazione della società dal registro delle imprese, cancellazione avvenuta in data xx.7.2012 e quindi dopo l’inizio dell’attività accertativa. Occorre quindi verificare se tale atto possa essere considerato o meno fraudolento. La risposta dev’essere negativa sol che si pensi che la cancellazione dal registro delle imprese non è stata condotta ideata e realizzata esclusivamente dopo l’inizio dell’accertamento fiscale, ma era attività che la società, la cui attività era cessata in data xx.xx.2010, aveva già programmato dal xx.xx.2010 quando aveva deliberato il suo scioglimento e la messa in liquidazione con atto notaio (in atti). Tale delibera era stata iscritta nel registro delle imprese in data xx.xx.2010. Conseguentemente la società aveva effettuato le incombenze relative alla sua liquidazione conclusesi in data xx.7.2012 con l’approvazione del bilancio finale di liquidazione con l’assenza di attività da ripartire tra i soci. La cancellazione della società dal registro delle imprese non può quindi considerarsi atto fraudolento, ma atto necessitato alla fine della liquidazione della società. Dalla messa in liquidazione della società sono poi derivati come necessitati tutti gli adempimenti previsti dagli artt. 2484 c.c. senza che l’amministrazione finanziaria potesse subire noncumento a norma degli artt. 2495 c.c. e 36 del D.P.R. n. 602/1973. Ne consegue che poiché non è stato posto in essere alcun atto fraudolento, gli imputati devono essere mandati assolti perché il fatto non sussiste”.

Il Tribunale ha ritenuto infondata la tesi accusatoria per incapacità della “sola” cancellazione ad incidere sul patrimonio aziendale ed a ridurre la garanzia patrimoniale (art. 2740 c.c.), oltrechè a frustrare l’incasso dei crediti tributari, poiché la “semplice” cancellazione era inclusa nell’iter procedimentale (scioglimento-liquidazione-cancellazione) seguito dalla società, anteriormente al controllo tributario, per realizzare l’estinzione dal registro delle imprese.

Il Giudice ha valutato la sussistenza di svariati fatti “impeditivi” rispetto alla supposta condotta decettiva, tra i quali: a) corretto utilizzo delle norme disciplinanti lo scioglimento, la liquidazione e la cancellazione della società a responsabilità limitata; b) accadimenti aziendali assoggettati a “pubblicità legale” (art. 2103 c.c.); c) effettiva cessazione dell’attività imprenditoriale precedente all’avvio del controllo tributario; d) il patrimonio aziendale è rimasto intatto (nella fattispecie, i soci avevano addirittura rinunciato a pregressi finanziamenti); e) partecipazione dei soci e dell’organo amministrativo al controllo tributario, senza occultare e ostacolare l’attività della Guardia di Finanza e dell’Agenzia delle Entrate; f) l’Erario possedeva numerosi rimedi (generali e speciali) per recuperare eventuali crediti insoddisfatti dalla società cancellata (es.: art. 2495, co. 2 c.c., art. 2191 c.c., art. 10 del R.D. n. 267/1942, art. 36 del D.P.R. n. 602/1973).

Infine, si osserva che i principi enunciati dalla sentenza, pur riferiti ad un’estinzione aziendale avvenuta nell’anno 2012, sono applicabili anche alle richieste di cancellazione dal registro delle imprese presentate dal 13.12.2014, data di entrata in vigore dell’art. 28 del D.Lgs. n. 175/2014, col quale è stata “novellata” la disciplina in oggetto nel senso di rendere efficace (nei riguardi dell’Erario) l’estinzione dopo 5 anni dalla domanda e di invertire il carico probatorio in capo ai contribuenti rispetto al pagamento dei debiti tributari. A ben guardare, la “novella” conferma la mancanza di fraudolenza in caso di “semplice” cancellazione societaria, considerati gli effetti nettamente sbilanciati a favore dell’Erario che appaiono inconciliabili con la natura “decettiva” della condotta dei contribuenti. 

Parole chiave:

cancellazione societaria

atto sottrattivo

art. 2495 c.c. 

art. 11 D.Lgs. n. 74/2000

art. 28 D.Lgs. n. 175/2014

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