Assolto il commercialista dal reato di dichiarazione fraudolenta contestato per aver utilizzato le fatture documentanti sponsorizzazioni ritenute deducibili dall’Agenzia delle Entrate.

Un commercialista, in qualità di sponsor, sosteneva costi per sponsorizzazioni a favore di una associazione sportiva dilettantistica.

Successivamente, ai membri dell’associazione veniva contestata la partecipazione ad un’associazione per delinquere (art. 416 cp) finalizzata all’emissione di fatture false nel mondo del sport dilettantistico.

La Procura della Repubblica qualificava “oggettivamente inesistenti” tutte le fatture emesse dall’associazione e ipotizzava che tutti gli sponsor, tra cui il commercialista, avessero consumato il reato di dichiarazione fraudolenta mediante l’utilizzo di fatture false (art. 2 del D.Lgs. n. 74/2000).

Nel corso del processo penale, il commercialista, scegliendo il rito abbreviato, veniva condannato dal Tribunale di Pistoia alla pena della reclusione di 8 mesi, oltre alle sanzioni accessorie, perché le intercettazioni e le altre prove accusatorie consentivano di ritenere certa la falsità delle fatture , e quindi consumato il reato di cui all’art. 2 del D.Lgs. n. 74/2000.

Il commercialista appellava la condanna e la Corte di Appello di Firenze lo assolveva ritenendo insussistente il fatto contestato perché erano incerti e non congruenti i dialoghi intercettati tra i sodali dell’associazione, e comunque le sponsorizzazioni erano già state apprezzate dall’Agenzia delle Entrate, nel senso di ritenerle reali ed effettive, come tali pienamente deducibili fiscalmente.

La Corte di Appello valorizzava, in chiave assolutoria, il provvedimento emesso dall’Agenzia delle Entrate a conclusione del controllo tributario svolto a carico del commercialista, all’esito del quale era confermata sia la realizzazione delle sponsorizzazioni, sia la deduzione reddituale dei costi pubblicitari documentati con le fatture contestate. In specie, l’atto amministrativo emesso dall’Agenzia, con contenuto fidefacente, escludeva con certezza la responsabilità penale del commercialista, in quanto accertava positivamente che l’Associazione sportiva era dotata di una struttura organizzativa, era iscritta al Coni, partecipava alle gare ufficiali svolgendo l’attività pubblicitaria anche a favore del commercialista.

Si riporta la motivazione del “giudicato” assolutorio maturato a favore del commercialista:

Corte Appello Firenze n. 2897/2021

“Al di là del fatto che i dialoghi richiamati dal Tribunale non sembrano assumere un valore indiziario univoco, per la loro laconicità , il primo Giudice non ha adeguatamente valutato il significato probatorio che assume il provvedimento di archiviazione emesso nei confronti dell’imputato dall’Agenzia delle Entrate , dal quale si evince che le fatture emesse dall’Associazione a favore dell’imputato avevano ad oggetto servizi pubblicitari realmente eseguiti, tanto che è qualificata fedele la dichiarazione dei redditi presentata dall’imputato, in cui le prestazioni documentate con le fatture sono state ritenute effettive. I costi sostenuti per le prestazioni pubblicitarie hanno generato componenti negativi deducibili dal reddito di lavoro autonomo nel periodo in cui sono stati sostenuti (2012), a prescindere dal momento in cui sono stati resi i servizi pubblicitari. I pagamenti sono stati eseguiti con metodo tracciabile alla fine dell’anno 2012, sulla base di un contratto di sponsorizzazione effettivo, che descriveva la prestazione pubblicitaria. Inoltre l’imputato compariva nell’elenco degli sponsor dell’Associazione. E’ emerso, altresì, che i ciclisti di questa squadra gareggiavano indossando le divise riportanti il marchio della società di cui l’imputato era legale rappresentante. Il fatto-reato contestato, pertanto, deve ritenersi insussistente, in quanto gli accertamenti dell’amministrazione finanziaria hanno consentito di ricostruirlo e di metterne in luce la regolarità ai fini fiscali”.

Per saperne di più sul caso giudiziario, scrivi a studio@robertosimoni.it, ti rispondo personalmente!